Convegni

 

Il fenomeno della fuga visto secondo molteplici chiavi di lettura: è stato questo il tema proposto ai relatori, nel convegno che ha concluso la 16^ edizione del Premio Letterario San Vidal Venezia.

La fuga degli emigranti: questo il taglio prospettico dello storico  Emilio Franzina. “Il rapporto tra ‘emigrazione’ e ‘fuga’ – dice Franzina - risalta, nell’immaginario popolare di ieri ma soprattutto di oggi, in maniera molto spesso indebita. Perché si parte? Perché si lasciano i luoghi della memoria e degli affetti se non in quanto spinti solo dal bisogno e trascinati lontano come da una forza misteriosa o, meglio, da un desiderio più che comprensibile di sopravvivenza? La sopravvivenza in questione, naturalmente, è quella fisica e non è detto che non corrisponda poi, una volta ‘fuggiti’ altrove, ad una sorta di estinzione spirituale che potrà essere riscattata in modo intermittente pagando pegno alle spine della nostalgia e del rimpianto”. Ma la lettura del fenomeno si presta ad altre interpretazioni, più complesse e articolate.

La fuga verso il sogno è stata analizzata da Lorenzo Reggiani, giornalista. “La domanda corretta … non è perché, ma lontano da che cosa? O da chi? Da dove? Il mito è quello dell’immortalità, della reincarnazione, della metempsicosi fatta realtà: il poter vivere più vite diverse. Ed invece, per una serie di circostanze, fortuite, chissà com’è ma ci troviamo tutti a vivere quella che non vorremmo, quella dei tran-tran, della routine, dei pochi soldi e tante tasse, di una moglie sola e via dicendo. Le vite ‘altre’ diventano allora, nell’esercizio onirico, quelle spericolate, donne e champagne, avventure, tavoli di roulette e badilate di contanti, dove il nostro ego frustrato e mediocre potrà finalmente prendersi la rivincita”.

“Noi tutti, anche senza rendercene conto, fuggiamo. Lo facciamo in modo precipitoso, misterioso, silenzioso. Ma da cosa e da chi noi fuggiamo?”. A porre questo interrogativo è stata Mirella Siragusa, psicologa, che ha delineato modalità di fuga sorprendenti, inaspettate, come il lavoro, il sesso, la lettura di romanzi, il viaggio.  “Un uomo dedito al lavoro, che occupa un posto di prestigio, può andare avanti per anni senza riconoscere il carattere coattivo del suo comportamento”, ha affermato la psicologa. “La natura difensiva della sua dedizione al lavoro diventa palese solo se si scatenano avvenimenti tali come la perdita del lavoro, il pensionamento, una crisi matrimoniale. Il lavoro è stato tutto per lui, ma anche una evasione, una via di fuga, una lunga e narcotizzante esperienza che ha attenuato altri bisogni o aspirazioni che non era in grado di gestire…. Senza accorgersene ha gradualmente rinunciato ad esplorare altri sentieri della sua vita. Ha inibito altri desideri in quanto si sentiva inadeguato a realizzarli. Ha ristretto il campo delle sue relazioni interpersonali e familiari…Il lavoro, in questo caso, è una dipendenza e, come tale, mantiene il carattere di assolutezza e di predominio. Diventa quindi una via di fuga da altri aspetti della realtà”.

 Fuga dalla morte. “Dirò subito che non vi è possibilità di fuga nella morte – ha detto Germano Bellussi, psicoanalista -, poiché quella che potrebbe apparire come tale è invece una fuga nella vita, essendo infatti quella della ricerca della morte la più alta espressione della nostra naturale volontà di vivere, della nostra voglia di vivere una vita. Potremmo dire che quella che ci appare a volte possibile è una fuga dalla morte; da una morte della quale, come umani, non abbiamo peraltro esperienza alcuna. Più correttamente dovremmo forse parlare di una fuga dal morire, vale a dire dalla multiformi esperienze che sono proprie del dolore che sono tutte riconducibili al nostro morire, un poco ogni giorno”. “Il dolore è dunque al centro della nostra esistenza, ed allora giustamente la domanda che noi rivolgiamo agli esperti delle diverse discipline interessate, oltre che a noi stessi, è quella di come poter evitare il dolore, di come poter abbassare i livelli del nostro dolore”.

Dopo Giuseppe Goisis, che ha parlato della fuga dalla libertà, riferendosi a un campo di analisi di psicologia della politica, è intervenuto Umberto Galimberti: “Fuga verso dove? Verso il futuro”. “Penso che di fronte al futuro non ci sia da fuggire – ha affermato il filosofo -, il futuro ci viene addosso. Però c’è una certa scrutabilità, in questo futuro… La fuga comporta un concetto di libertà: si fugge da una condizione oppressiva  … Noi occidentali abbiamo la possibilità di fuggire da questa nostra civiltà? La sensazione è che non possiamo più fuggire, e la cosa mi spaventa. Siamo tutti terrorizzati dal terrorismo, ma penso che, più che dal terrorismo, dovremmo essere terrorizzati dalla nostra potenza: abbiamo paura della nostra potenza perché non è esportabile. Il nostro sistema di vita non è esportabile. Se è vero quello che dice l’UNESCO, che noi consumiamo 25 volte quello che consuma mediamente un uomo, se volessimo esportare il nostro stile di vita in tutto il mondo, dovremmo moltiplicare i 6 miliardi di uomini che siamo per 25. La terra non regge… Per cui il nostro rapporto col mondo può avvenire all’insegna della globalizzazione, ma dev’essere una forma che avvenga esclusivamente sotto il profilo economico, con lo sfruttamento delle risorse per noi...”.

Con l’intervento di Umberto Galimberti si è concluso il convegno, durante il quale è stato assegnato il Premio Letterario San Vidal Venezia.

 

 

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